In un momento di crisi economica così acuta, con molte famiglie italiane e tante imprese colpite duramente da una inflazione record, parlare di patrimoni e beni all’estero può sembrare per certi versi poco attuale.
Non dimentichiamo, però, che c’è ancora una parte di connazionali che vive in condizioni molto agiate.
L’Italia, intendiamoci, non è solo quella dei 7 milioni di cittadini sulla soglia della povertà: e i ricchi, se vogliamo chiamarli così, in un Paese dove la pressione fiscale tocca livelli altissimi, preferiscono, gioco forza, spesso detenere i loro patrimoni all’estero.
Oltre alla tassa annuale sugli immobili italiani e all’imposta di bollo, sono attualmente in vigore le seguenti imposte, che potrebbero essere considerate come imposte sul patrimonio, in corso di riscossione sulla proprietà dei beni: imposta sugli immobili ubicati all’estero, la IVIE, e quella che ci interessa più da vicino in questo articolo, la tassa sugli investimenti finanziari esteri detenuti all’estero, IVAFE.
Sono state introdotte in risposta alla crisi economica, laddove il Governo, facendo pressione su coloro che detenevano palesemente patrimoni più consistenti, ha cercato di sostenere le entrate e contrastare l’evasione fiscale.
Come per l’imposta di bollo e l’IMU, l’aliquota fiscale di entrambi gli oneri di cui sopra è relativamente bassa, 0,2%per IVAFE e 0,76% per IVIE.
In un primo momento, entrambe le tasse hanno generalmente evitato il controllo, ma anch’esse hanno poi subito l’introduzione di norme in materia di monitoraggio e rendicontazione fiscale relativi alle attività detenute all’estero.
Alla luce delle circostanze attuali, partendo dalla pesante crisi finanziaria causata dalla pandemia di COVID-19, si è discusso di una possibile introduzione in Italia di un’imposta sul patrimonio al fine di ridurre il debito pubblico contratto a seguito dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, attualmente non ci sono progetti di legge in merito.
Anzi, per chi detiene un patrimonio all’estero, è addirittura arrivato in aiuto il recentissimo Decreto Semplificazioni che ha alleggerito il peso dei controlli.
I conti esteri tornano nel mirino del Fisco, anzi sarebbe meglio dire che ci sono sempre stati: il dl Semplificazioni, approvato il 15 giugno dal Consiglio dei ministri, abbassa la soglia oltre la quale è obbligatorio dichiarare le operazioni ai fini di monitoraggio.
A partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge, si riduce a 5.000 euro la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di monitoraggio fiscale sulle operazioni di trasferimento di denaro attraverso intermediari bancari e finanziari.
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