Il Governo starebbe valutando l’opportunità di aumentare gli stipendi degli italiani con il taglio del cuneo fiscale. Ecco il ventaglio delle alternative
C’è però da considerare anche il problema relativo alle pensioni. Laddove il taglio fosse definitivo si innescherebbe un meccanismo non propriamente favorevole per chi è uscito dal mondo del lavoro.
La piaga dei redditi bassi affligge da molto tempo gli italiani. Nell’ultimo periodo a rendere ancora più complicata la situazione è l’inflazione alle stelle, che di fatto ha dato una mazzata importante al potere d’acquisto.
Il Bel Paese è l’unico dall’area OCSE in cui gli stipendi reali sono diminuiti tra il 1990 e il 2020. Nonostante ciò, non sono state attuate le contromisure necessarie e il salario minimo spesso decantato è rimasto solo una mera utopia.
Per questo allo stato attuale il taglio del cuneo fiscale può rappresentare la soluzione più logica. Anche in questo caso le discussioni vanno avanti da anni e non hanno mai portato agli esiti sperati dalla popolazione.
A parziale giustificazione della lentezza con cui certi meccanismi avvengono in Italia, c’è da dire che nel caso del cuneo fiscale vanno considerati dei problemi difficili da affrontare viste le ripercussioni che può avere sull’intero sistema economico.
Per questo è bene ribadire il concetto di cuneo fiscale. Si tratta in pratica della differenza tra il costo del lavoro sostenuto dall’impresa e la busta paga percepita dal lavoratore. In Italia infatti solitamente il primo è piuttosto alto e il secondo mediamente basso.
Un paradosso che si spiega con il fatto che l’impresa debba pagare altissimi contributi previdenziali sullo stipendio e al contempo dover trattenere da esso una tassazione IRPEF altrettanto pesante.
Tagliare il cuneo fiscale significa in pratica agire sui contributi INPS, ma non è chiaro se il provvedimento sia di natura provvisoria o definitiva. Al momento dovrebbe riguardare sole le ultime quattro retribuzioni del 2022, cioè da settembre a dicembre.
Inoltre va considerato il “problema” pensioni. Infatti i contributi INPS versati mensilmente da imprese e lavoratori servono per pagare nell’immediato le pensioni di chi oggi è uscito giustamente dal mondo del lavoro. Queste alimentano il montante sul quale saranno calcolate le future pensioni degli attuali lavoratori. La riduzione dei contributi tanto auspicata sottrarrebbe all’INPS le risorse per pagare gli assegni pensionistici.
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