Il settore pensionistico italiano continua a svilupparsi, anche se a ritmi lenti. L’inflazione, come un colpo di mannaia, ha reciso le speranze di crescita, e l’aumento del costo della vita ha messo in ginocchio le famiglie.
I fondi pensione italiani stanno adattando le proprie strategie al regime di mercato volatile e incerto, acquistando asset indicizzati all’inflazione e sfruttando i rendimenti potenzialmente più elevati dei titoli di Stato nazionali.
Tuttavia, generalmente rimangono fedeli alle loro strategie di diversificazione a lungo termine, che consistono nell’allocazione graduale ad alternative tra cui private equity, private debt e infrastrutture.
Ciò che preoccupa di più, però, non sono i fondi pensioni, chi ha avviato “un tesoretto” consistente in un piano risparmi a tasso fisso può in fondo dormire sonni tranquilli. Il timore maggiore è per coloro che oggi vivono con la cosiddetta “minima”.
Come si può andare avanti con 600 o alla peggio 500 euro mensili? Come si può reggere l’impatto devastante di una inflazione che portato aumenti in ogni dove, dai generi alimentari di prima necessità fino alle bollette domestiche?
I dati sono drammatici: i 7 milioni di italiani sulla soglia della povertà rischiano in breve tempo di aumentare a dismisura.
Già nello scorso gennaio, il Governo aveva immaginato un restyling delle pensioni, adeguandolo al variato costo della vita. Un piano ambizioso, che però è crollato così come è crollato l’esecutivo Draghi.
Il 1° gennaio scorso il governo italiano aveva implementato una formula più generosa di adeguamento delle prestazioni per pensioni di vecchiaia.
Con questa nuova formula, gli aumenti annuali delle prestazioni venivano applicate progressivamente anziché in modo uniforme, con pensioni minori indicizzate di una percentuale maggiore rispetto a pensioni maggiori.
Di conseguenza, la prospettiva degli aumenti prevedeva il 100% del tasso di inflazione per le pensioni mensili fino a quattro volte la pensione minima mensile. E ancora il 90% del tasso di inflazione per le pensioni mensili superiori a quattro volte, ma non superiori a cinque volte il minimo mensile pensione. E infine il 75 per cento del tasso di inflazione per le pensioni mensili superiori a cinque volte la pensione minima mensile.
Tutto questo avveniva a inizio anno. Ora con il recente Consiglio dei Ministri, con il dimissionario Draghi, si sta rivedendo il tutto.
Le prime indiscrezioni parlavano di un 7%, ovvero tutto l’incremento che era previsto dal prossimo gennaio. Poi si è arrivati al 3%, più o meno il 50% della rivalutazione. Ora quella quota sembra oscillare un po’ sopra il 2%. Ma non c’è ancora nulla di definitivo.