Come per qualsiasi attività commerciale, anche per il tabaccaio è essenziale la convergenza di una serie di fattori.
Alcune attività sembrano fonte automatica di guadagno. Almeno in apparenza chiaramente. Una sorta di autoconvinzione da parte di chi, negli anni, ha continuato a vederle operative, pressoché identiche e magari con una costanza anche nei gestori.
In realtà, qualunque attività commerciale deve sottostare a rigide regole di tassazione e alle leggi del mercato. Le quali, nello specifico, si traducono dapprima in uno studio di fattibilità e in un’analisi della concorrenza, per poi procedere alle valutazioni più approfondite sulla competitività della proposta commerciale. Il cosiddetto tabaccaio, in questo senso, non fa eccezione. Un termine che di per sé sembra dire tutto ma che, a ben vedere, limita grandemente l’attività che identifica. Difficile, infatti, ridurre un simile lavoro al semplice commercio legale di sigarette, sigari e tutto quanto c’entri in qualche modo con il tabacco da consumo regolato. Specie negli ultimi anni, il volume d’affari di quella che una volta era la tabaccheria è decisamente aumentato.
In questo senso, sommando commercio variegato, tasse e quant’altro, diventa difficile determinare quale possa essere, anche in media, il guadagno di un’attività simile. Lo studio di fattibilità diventa quindi cruciale, vista la frequenza con la quale si può incontrare un tabaccaio nelle vicinanze e, soprattutto, la reale necessità di posizionare l’attività in un luogo densamente frequentato. Tolti i contesti meno popolati, in cui di tabacchi raramente se ne troverebbero più di un paio, per quel che riguarda le grandi città ci si trova di fronte il più delle volte ad attività pluriennali. Aspetto che, come detto, sembra dire molto sulla remuneratività del lavoro.
Non è sempre semplice far sì che il gioco valga la candela. Come in ogni attività di tipo commerciale, anche il successo di un tabaccaio dipende innanzitutto dalla frequenza e, in un certo senso, dalla fidelizzazione della propria clientela. Una sorta di “istituzionalizzazione” a livello di quartiere potrebbe essere già un primo passo. Anche perché i costi ci sono e non sono nemmeno pochi. Affitto e tassazione rappresentano le uscite più importanti, da compensare attraverso la prolificità della vendita. Innanzitutto, andrà determinata la tipologia di attività. Qualora il tabaccaio svolga anche la funzione di ricevitoria, ad esempio, i potenziali guadagni diventeranno in previsione più elevati considerando la vendita di biglietti relativi ai giochi a premi (Gratta e vinci). Meglio ancora se parzialmente edicola.
Sta di fatto che anche i prodotti tipici della tabaccheria, dalle sigarette agli altri di monopolio, dovranno fare i conti con l’aggio. Ossia, con la differenza fra il profitto dell’esercente e il netto applicato alle imposte, che in Italia tocca il 10% del fatturato complessivo. In pratica, a fronte della vendita di un pacchetto di sigarette da 5 euro, il tabaccaio non ricaverà che 50 centesimi. È il cumulo, quindi, a fare la differenza. Fattore che genera sentimenti contrastanti in quanto legato a un vizio piuttosto rischioso del consumatore. Ragionando su un piano meramente economico, però, su uno stock di 100 pacchetti venduti, l’aggio non supererà i 50 euro. Per questo, contrariamente alle apparenze, secondo i dati Istat il guadagno netto difficilmente supererebbe i 1.300 euro mensili. A meno che altri fattori non remino a favore di corrente, dalla zona scelta al volume d’affari sugli altri prodotti. Toccare quota 5 mila al mese è possibile. Che sia anche probabile dipende da una convergenza positiva di circostanze.
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