La variante Cerberus tiene in allerta gli esperti. I sintomi sono sempre più simili a quelli dell’influenza e i contagi sono meno evidenti.
Nonostante lo scorrere delle giornate conferisca alla situazione i connotati di un’apparente normalità, il monitoraggio sull’andamento del Covid-19 non rallenta. Specie in questo momento dell’anno, caratterizzato dalla risalita delle sindromi influenzali.
Anche senza bollettino quotidiano, gli esperti non hanno spento i riflettori sul virus e, soprattutto, sulle sue numerose varianti. Le vere responsabili, in un certo senso, della prosecuzione a oltranza della pandemia. Da Delta a Omicron (e alle sue numerosissime sottovarianti), il coronavirus ha scandito nostro malgrado gli ultimi due anni e mezzo, costringendo la società globale ad assumere dapprima misure drastiche di contrasto alla diffusione pandemica e, in seguito, a sviluppare al meglio gli strumenti per conviverci. Tuttavia, nonostante gli sforzi e un indubbio miglioramento (segnato dalla ripresa di una quotidianità quantomeno somigliante a quella pre-Covid), qualche novità, di tanto in tanto, esce ancora fuori.
E quasi mai, purtroppo, si tratta di notizie positive. A cominciare dalla registrazione di ulteriori varianti e, nello specifico, dei loro effetti a lungo termine. L’ultimo nome venuto fuori in fatto di Covid è quello di Cerberus, nuova mutazione del virus che, secondo gli esperti, potrebbe portare un nuovo boom di contagi, con picco di 90 mila atteso per Natale. A suonare l’allarme è il virologo Fabrizio Pregliasco, dell’Università Statale di Milano, che in un intervento a Rai Radio 1 ha chiarito che, al momento, le previsioni per il prossimo futuro non sono poi così rosee. Anzi, nelle prossime settimane, proprio per responsabilità di Cerberus si prevede un netto aumento dei casi.
Un nome abbastanza inquietante quello attribuito alla nuova variante che, in realtà, sarebbe solo l’ennesima biforcazione del ceppo BQ.1. Per gli esperti ci si trova di fronte a condizioni meno preoccupanti in generale, nel senso che l’aggressività sarebbe minore delle precedenti forme del Covid anche se, a quanto pare, maggiormente in grado di “schivare” le coperture delle difese immunitarie, sia per le infezioni pregresse che per i vaccini. In sostanza, il virus sarebbe mutato quel tanto che basta da ingaggiare le nostre difese apportate dalla vaccinazione. Anche per questo sia l’Oms che l’Ecdc hanno annunciato l’arrivo di Cerberus, sottolineandone l’imprevedibilità e, soprattutto, l’impossibilità di definire uno scenario certo da qui ai prossimi mesi.
Chiaramente, la riduzione dell’uso delle mascherine e delle precauzioni in generale rende più probabile una diffusione su largo raggio. È anche vero, però, che il nostro organismo dovrebbe ormai essere maggiormente preparato a contrastare il Covid e le sue varianti. Secondo i virologi, Cerberus sarebbe attualmente al 14% in Italia, stando all’ultimo monitoraggio. E, a quanto sembra, non dovrebbe variare di molto nei suoi effetti rispetto a Omicron 5. Anche i sintomi sono progressivamente più simili a quelli di una normale influenza, dal raffreddore al mal di gola. Sempre meno frequenti, invece, la perdita di gusto e olfatto, oltre che la febbre alta. In pratica, senza un tampone sarebbe praticamente impossibile capire se si è effettivamente contagiati o no. Anche il vaccino ha la sua incidenza: un ciclo completo allevia i sintomi e ne accorcia la durata. Certo è che, a fronte di segnali sospetti, indossare la mascherina sarebbe comunque prudente.
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