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Pensioni, occhio alla beffa! Cosa succede con la rivalutazione

Published by
Matteo Runchi

Le pensioni saranno rivalutate nel 2023 con un sostanzioso aumento del 8% per contrastare l’inflazione galoppante in questo anno.

Una misura molto attesa, e automatica secondo il meccanismo di adeguamento delle pensioni all’inflazione che si attiva ogni anno a gennaio per difendere il potere d’acquisto dei pensionati.

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Questi aumenti però non saranno uguali per tutti, a causa degli scaloni IRPEF. Alcuni pensionati infatti ricevono un assegno che è molto vicino alla soglia dell’aumento delle tasse sul reddito che pesano anche sulle pensioni. L’aumento dell’8%, molto più sostanzioso di quelli degli ultimi anni, potrebbe spingerli oltre la soglia causando un aumento delle tasse e una conseguente riduzione del bonus stesso. A meno che il governo non intervenga, questi pensionati si vedranno decurtato l’adeguamento senza averne alcuna colpa.

L’aumento dell’inflazione e le pensioni

L’Inflazione sta aumentando come non succedeva da quasi 40 anni. A Ottobre, con un aumento mensile del 3,5%, ha toccato l’11,9% su base annua, livelli che non si vedevano cal 1984. Le cause di questo aumento dei prezzi sono da ricercarsi soprattutto nella ripresa post pandemica, nel conseguente blocco dei commerci e nell’aumento dei costi delle materie prime energetiche. Questa tendenza sta erodendo il potere d’acquisto e i risparmi di molti italiani. Chi può scarica i costi sul consumatore, aumentando i prezzi, ma dipendenti e pensionati non hanno questa opzione.

Se per i primi ci si aspetta che siano i datori di lavoro ad aumentare gli stipendi per renderli adeguati all’inflazione, per chi percepisce una pensione sta allo Stato rimediare per impedire che gli spesso già magri assegni pensionistici diventino insufficienti a mantenere una dignità. Un meccanismo automatico di questo tipo esiste già, ed è l’adeguamento delle pensioni all’indice di inflazione. Utilizzando dati ISTAT, a gennaio di ogni anno si calcola di quanto devono aumentare le pensioni per rimanere al passo con l’aumento dei prezzi. Per il 2023 si va verso un aumento del 8%, ma già da luglio di quest’anno il governo era intervenuto con misure straordinarie per portare l’adeguamento al 2% dallo 0,2 stabilito sull’inflazione inesistente del 2021.

Il problema degli scaglioni

Il sistema, come visto, è tutt’altro che perfetto. Il suo primo difetto è la lentezza nell’adeguamento. Agendo soltanto ad inizio anno e calcolando quindi l’inflazione dell’anno precedente, il sistema non si adatta a impennate repentine dei prezzi. Dimostrazione di questa rigidità è quanto avvenuto nel corso del 2022. L’adeguamento era stato calcolato allo 0,2% sull’inflazione del 2021, ma le circostanze descritte in precedenza hanno fatto aumentare i prezzi in maniera improvvisa costringendo il governo ad un intervento.

Un altro problema di questo meccanismo è quello degli scaglioni IRPEF. La tassa sul reddito italiana funziona a fasce di reddito, dette scaglioni. Quando una parte delle proprie entrate eccede una certa quota, su quella parte si applica una percentuale di ritenuta maggiore. Vale per gli stipendi come per le pensioni, e questo per alcuni rappresenta un problema al momento della rivalutazione della pensione alla luce dell’inflazione.

L’aumento dell’8% infatti causerà per alcuni pensionati che prendono un assegno vicino allo scaglione successivo, un aumento delle tasse proprio sulla maggiorazione appena ricevuta. Si chiama drenaggio fiscale, e questo effetto taglierà di fatto per migliaia di pensionati l’adeguamento, rendendolo meno efficace nel combattere l’inflazione. Questo a meno che il governo non intervenga con misure straordinarie per rimuovere la tassazione aggiuntiva.

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Matteo Runchi

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