Occhio al contrassegno CPFR. Qualora non fosse presente sui Buoni fruttiferi, la pari facoltà di rimborso non sarebbe concessa.
Non solo la sostanza. In alcune circostanze anche la forma dice la sua e in modo decisivo. E questo vale anche per i Buoni fruttiferi postali, fra gli strumenti di punta di Poste e, in generale, fra i più apprezzati dai risparmiatori.
In un contesto di grande successo, il rischio è che un piccolo difetto di forma possa vanificare quanto di buono si è atteso. Nello specifico, si parla di una sigla fondamentale per i Buoni cartacei, della quale il titolare dovrebbe accertare la presenza. Sempre in nome del buon esito delle procedure di risparmio e di investimento che caratterizzano lo strumento in questione. Un aspetto che, tuttavia, non sempre risulta fra le priorità di chi apre i Buoni, perlomeno in termini di verifica. Difficile, infatti, che qualcuno abbia mai sentito parlare, se non in ambienti specializzati, della sigla “CPFR”. La quale, invece, caratterizza fortemente i Buoni fruttiferi.
L’obiettivo di tale prodotto di Poste è ormai arcinoto. Non solo si cerca di favorire il risparmio ma anche la movimentazione di denaro, evitando quindi la noia dell’imposta di bollo e, soprattutto, garantendosi un rendimento sul capitale investito. Anche per questo i Buoni fruttiferi rappresentano uno strumento utile per diverse categorie di risparmiatori, inclusi coloro non ancora in possesso di un conto BancoPosta o bancario. Per qualcuno costituiscono un primo passo nel mondo della gestione dei risparmi, per altri un contributo alle proprie finanze. Ecco perché vanificare tutto per un dettaglio non sarebbe una mossa saggia.
La garanzia di Cassa Depositi e Prestiti rappresenta un aspetto fondamentale per conferire la fiducia giusta ai Buoni fruttiferi. Anche in momenti di difficoltà, infatti, il capitale investito continuerà a mantenere la sua crescita sulla base degli interessi maturabili, registrando quindi un rendimento sicuro, a seconda della tipologia di Buono aperto. Chiaramente, maggiore è la somma investita e più sarà il rientro al termine del percorso di maturazione degli interessi. Come detto, però, è necessario che alcuni accorgimenti siano adottati, al fine di evitare di restare con il più classico dei pugni di mosche alla fine della fiera. Si tratti di prodotti a lungo o a medio (persino a breve) termine, è fondamentale che sul cartaceo figuri la denominazione “CPFR”, letteralmente “Con pari facoltà di rimborso”.
Attenzione, perché si tratta di un aspetto vincolante. La sigla in questione, infatti, figura come contrassegno di garanzia, che consente a uno degli intestatari di presentarsi autonomamente allo sportello postale per richiedere il rimborso dell’importo in totale. In sostanza, qualora l’intestatario (o uno degli intestatari se ve ne fossero più di uno) non volesse o non potesse attendere la scadenza del buono per ottenere indietro la somma investita, sarà libero di presentarsi all’incasso per ritirare quanto versato con l’aggiunta degli interessi maturati fino a quel momento. Questo sarà possibile unicamente in presenza del marchio CPFR, che consentirà di svolgere l’operazione. In caso contrario, l’orizzonte della scadenza non potrà essere avvicinato.
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