Anche la spesa alimentare risente dell’inflazione. I prodotti di larghissimo consumo salgono di prezzo e rendono l’acquisto un rebus.
È ormai acclarato che l’inflazione abbia colpito duro sulle tasche dei contribuenti. Quel che ci si aspettava meno, però, era la mazzata sui prodotti di consumo primario.
Un minimo di divergenza rispetto a qualche mese fa era previsto. Non riuscire quasi più a fare la spesa, però, era un’eventualità scarsamente messa in conto. Il problema non è tanto legato ai rincari, quanto alla convergenza di diversi fattori, tutti più o meno influenti per determinare (anzi, rideterminare) la spesa media mensile delle famiglie italiane. I supermercati non sono sfuggiti all’onda lunga, finendo per aggiornare i cartellini dei prezzi anche su prodotti di larghissimo consumo. Una delle notizie peggiori che potessero arrivare ai consumatori, già provati da una lunga serie di problematiche finanziarie portate dalla pandemia e, successivamente, dalla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Una combinazione esplosiva, anche per gli approvvigionamenti.
La spesa diventa quindi quasi un procedimento che richiede una strategia mirata. Un bilanciamento fra necessità reali e possibilità di accedere a determinate offerte. Questo perché anche i prodotti più essenziali hanno conosciuto un rincaro inaspettato, rendendo difficile riuscire a riempire la propria dispensa in un’unica soluzione. La classica “spesa grossa”, in poche parole, per buona parte delle famiglie diventa complicata. Qualche punto vendita che garantisce un po’ di risparmio chiaramente c’è (in primis i discount) ma la possibilità di tornare a casa con buste piene e portafogli non troppo provato si è via via ridotta negli ultimi mesi.
Prodotti rincarati, allarme spesa: quali sono aumentati di più
La questione è finita da tempo sotto i riflettori delle associazioni di categoria. Le previsioni per l’immediato futuro sono tutt’altro che rosee, considerando che i prezzi dovrebbero restare oltre il livello di guardia per tutto il prossimo anno. Unioncamere ha monitorato l’andamento dei costi, sia per quel che riguarda la produzione che la vendita all’ingrosso, fino a determinare l’effettiva incidenza sui prezzi di consumo finale. Un’indagine condotta assieme a Bmti e Ref Ricerche, volta a determinare la reale marcia dei prodotti di largo consumo in riferimento alle possibilità economiche delle famiglie di reddito medio-basso, le più colpite dalla crisi. Il quadro è abbastanza sconfortante se si pensa che ad aumentare maggiormente sono stati prodotti come tonno all’olio d’oliva (+ 6,1%), carne in scatola (+ 5,1%) e biscotti (+ 4,0%). Ossia, tre alimenti fra i più gettonati nell’ambito della spesa alimentare.
E attenzione ai prossimi mesi, perché il trend sembra non aver intenzione di modificarsi. Secondo Unioncamere, infatti, si prospetta un’ulteriore crescita dei prezzi pagati dalle Centrali di Acquisto all’industria alimentare. Uno step di almeno il 2,2% per il solo bimestre ottobre-novembre. Un rincaro che porterà il livello totale a quasi il 17% in più rispetto al bimestre del 2021. Nelle prossime settimane, a fronte di un’apparente stabilità, le percentuali di rincaro saliranno gradualmente. L’olio extravergine d’oliva, tanto per fare un esempio, viaggia già a un + 8,2%, mentre la birra nazionale al + 7,3%. Percentuali che, con l’anno nuovo, potrebbe conoscere un ulteriore ritocco. All’insù.