Sportelli bancomat indipendenti che sfuggirebbero al monitoraggio anti-illecito in quanto non sottoposti a obblighi. Un caso fin troppo diffuso.
La stretta operata dalle normative antiriciclaggio si inserisce nel contesto della transizione digitale e dell’addio progressivo al contante a favore di strumenti di pagamento tracciabile.
Nel discorso sono entrati di diritto gli sportelli Atm, sui quali le banche hanno man mano adottato strategie differenti. Finendo, in alcuni casi, per procedere alla chiusura. Una mossa da leggere nell’ottica della digitalizzazione che, negli ultimi anni, ha progressivamente premiato gli istituti di credito interamente online, imponendo perciò a quelli tradizionali un adeguamento rapido ai servizi web. Occhio però, perché non tutti gli sportelli bancomat sono legati al circuito bancario. Un dettaglio non noto a tutti ma che, in qualche modo, risulta decisivo. Specialmente perché tali Atm, definiti indipendenti, opererebbero attraverso modalità, per così dire, borderline rispetto alla normativa antiriciclaggio disposta dal D. Lgs. 231 del 2007.
Secondo quanto riferito da Il Sole 24 Ore, almeno 80 degli sportelli bancomat indipendenti consentirebbero persino di comprare criptovalute, oltre che di prelevare e versare denaro contante senza alcuna limitazione. E, soprattutto, senza alcun bisogno di giustificare le operazioni effettuate all’Amministrazione finanziaria. Alcuni di questi sono situati in grandi città come Roma, Napoli, Milano, Bologna e Palermo. Altri ancora si troverebbero a Reggio Calabria e almeno altre 20 città in tutta la Penisola. In base a quanto si afferma, tali dispositivi agirebbero in virtù di una falla nella stessa normativa sull’antiriciclaggio.
Il problema centrale sarebbe la trasparenza dei servizi consentiti tramite denaro contante. Le società gestenti tali bancomat, infatti, non fanno parte del circuito bancario e, per questo, sarebbero al di fuori delle metodologie standard di monitoraggio sulle operazioni effettuate tramite gli sportelli Atm. Nello specifico, non sarebbero tenute a pratiche di chiarimento nei confronti della Banca d’Italia. Senza contare che la maggior parte degli operatori che erogano tali servizi non hanno sede in Italia ma risulterebbero registrati in Paesi offshore (con regimi fiscali più tenui) o in Stati dell’Unione europea in regime di Financial Intelligence Unit (Fiu) estremamente limitato. Il quale non sarebbe quindi equiparabile agli organismi di verifica del circuito di Bankitalia. Recenti analisi hanno riscontrato una presenza piuttosto massiccia di tali sportelli sul territorio nazionale, anche se non tanti da risultare, a ora, estremamente rilevanti.
Secondo gli analisti, tuttavia, il loro numero è destinato a crescere. Tanto che l’Unità di informazione finanziaria ha già da tempo messo in campo una collaborazione con l’Agenzia delle Dogane per favorire il tracciamento delle operazioni svolte. Il problema, più che la quantità (in Spagna ce ne sono quasi 300), sarebbe però l’operatività controversa. La quale, come spiegato anche da fonti della Direzione nazionale antimafia, favorirebbe indirettamente pratiche di riciclaggio del denaro e, addirittura, di “lavaggio” di capitali illeciti. Ipotesi che troverebbero conferma in alcune indagini giudiziarie aperte in merito, le quali avrebbero scoperto operazioni di riciclaggio di proventi da frodi informatiche e addirittura sfruttamento della prostituzione. Il tutto, per una questione di obblighi non regolamentati. Da qui, il pressing affinché una tale distribuzione figuri come “stabilimento senza succursale”, sottoposto quindi agli obblighi nazionali.
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