Perché gli uomini uccidono le donne è la domanda che vogliamo porci oggi, 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne.
I casi di cronaca riportano sempre più spesso di mariti, fidanzati, figli che uccidono la la compagna o la madre.
Una violenza ingiustificata agli occhi delle persone, un atto dovuto agli occhi dell’uomo che sfoga la sua rabbia o frustrazione sulla donna che ha accanto. Nella maggior parte dei femminicidi lei aveva rifiutato lui, l’aveva lasciato oppure adottava dei comportamenti non idonei a detta del partner. Cosa scatta nella testa di questi omicidi? Perché vedono la donna come una loro proprietà da tenere in una morsa a tutti i costi, anche quello di un assassinio? La “giustificazione” che vengono presi dal panico nel pensare ad una vita senza la compagna vista come rifugio di sofferenze, paure, insicurezza riguarda diversi uomini.
Nel momento in cui vengono lasciati perdono il nido caldo e confortevole e iniziano a vedere intorno solo isolamento e solitudine, condizione che li pervade di terrore e dolore. Un dolore che solo un atto violento può lenire ponendo fine al travaglio interiore. Ecco perché in molte storie di cronaca l’uomo, dopo aver ucciso la moglie e, purtroppo, anche i figli cerca di porre fine alla sua di vita. Senza riuscirci, molto spesso, perché l’istinto di sopravvivenza è più forte.
Il quadro descritto rivela situazioni al limite, non tutti i mariti lasciati – naturalmente – uccidono le compagne. Alla base del comportamento violento, dunque, occorre ricercare eventi che nella vita dell’uomo hanno contribuito a formare questo suo lato aggressivo pronto a scattare nel momento di un rifiuto, un abbandono o al comparire dell’ombra della solitudine.
Si parla tanto di emancipazione femminile, della parità tra uomo e donna ma la verità è che ancora oggi in tante famiglie ma anche sul lavoro o nelle scuole la ripartizione dei ruoli è ancora netta. Prevale la figura del padre o del marito uomo alfa e della compagna il cui compito è di dedizione completa a marito e figli. L’idea che la donna sia indipendente, entità a sé pur avendo una famiglia non è radicata nelle menti degli uomini assassini.
La relazione nella coppia non è, dunque, equilibrata e la donna diventa solamente sorgente emozionale dell’uomo, l’appiglio a cui si aggrappa per convincersi che la sua vita sia perfetta così. E se questo appiglio comincia a vacillare nascono frustrazione, panico, rabbia e una sensazione di fallimento. Dove manca la sicurezza, il disagio nella mente degli uomini assassini porta a compiere il gesto estremo in un atto di puro egoismo.
Una personalità fragile e con poca autostima porta ad una reazione violenta in caso di senso di abbandono. Dietro questa costruzione errata dell’Io può esserci stato un distacco emotivo dalla madre vissuto con sofferenza. L’incapacità di accettare il dolore nasce da un’educazione emotiva e sociale incompleta, sbagliata. Così come da una mancanza di insegnamento del rispetto degli altri, delle decisioni altrui nonché della corretta comunicazione.
Urge, dunque, un radicale cambiamento socio culturale che insegni fin da bambini che le donne non si toccano nemmeno con un fiore, che condanni in modo severo la violenza sulle donne spronando alla denuncia qualora si verifichino casi di maltrattamenti in famiglia. Gli uomini che uccidono le donne dovranno diventare una “razza” in via di estensione e solo una mentalità differente potrà raggiungere lo scopo.
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