L’assegno unico ha cambiato il mondo in cui lo Stato distribuisce i sussidi alle famiglie con figli a carico in maniera radicale.
La norma voluta dal governo Draghi ha semplificato radicalmente la raccolta dei bonus, sostituendo la costellazione di sconti e vantaggi con un singolo bonifico calcolato sull’ISEE.
In questo modo milioni di italiani hanno potuto ricevere i soldi che spettavano loro semplicemente presentando la DSU, e gli importi potranno essere modificati all’aumentare o al diminuire del costo della vita e dell’inflazione. Ma nella formulazione di una specifica maggiorazione si è verificato un cortocircuito che costringerà alcune famiglie, già in difficoltà economica a restituire parte del loro assegno familiare universale.
Per capire il motivo per cui alcune famiglie dovranno restituire una parte del loro assegno unico, bisogna prima di tutto comprendere come funziona il sussidio. Fino allo scorso anno esisteva in Italia una galassia di sussidi, bonus, vantaggi, sconti fiscali e sgravi per chi aveva un figlio a carico. Soldi che venivano elargiti talvolta dallo stato, altre dall’INPS, dai datori di lavoro, dai comuni o dalle regioni. Collezionarli tutti diventava per le famiglie quasi un lavoro, e spesso non era possibile per loro arrivare alla cifra massima per questioni di tempo da investire.
Il governo Draghi ha così pensato di attuare una riforma massiccia dei sussidi per le famiglie. Ha annullato tutti i vecchi bonus, sostituendoli con un unico bonifico direttamente sul conto corrente, calcolato in base all’ISEE. Questo ha permesso allo Stato di risparmiare e alle famiglie di ottenere vantaggi maggiori. Inoltre in questo modo in caso di necessità è semplicissimo per il governo rimodulare l’assegno unico per adattarlo meglio ai bisogni delle famiglie.
L’assegno unico si compone di una cifra di base, calcolata in base al numero di figli e all’ISEE delle famiglie che presentano la Dichiarazione Sostitutiva Unica all’INPS. Ad esso si aggiungono poi una serie di maggiorazioni in caso di particolari situazioni. Le famiglie numerose ottengono un bonus per ogni figlio dopo il terzo, come lo ottengono quelle che hanno un figlio disabile a carico.
Una di queste maggiorazioni riguardava le famiglie con entrambi i genitori lavoratori. Pensata per non svantaggiare il lavoro femminile, questa maggiorazione però è formulata in maniera molto specifica. La parola “entrambi”, introdotta nella norma, indica chiaramente che sono tutti e due i genitori a dover essere impiegati perché una famiglia possa ottenere la maggiorazione.
Questa norma è stata però male interpretata da uno specifico tipo di famiglie, quelle monogenitoriali. Si parla di famiglie composte da un solo adulto con figli, come nel caso di genitori rimasti vedovi. Interpretando la norma come una maggiorazione per tutte le famiglie in cui tutti i genitori lavorano, questi nuclei l’hanno richiesta e ottenuta. Ora l’INPS però ha specificato che, almeno finché la norma non sarà modificata, la maggiorazione rimane riservata alle famiglie con due genitori lavoratori, e quindi quelle monogenitoriali non hanno diritto. Dovranno quindi restituirla, tramite un apposito modulo presente sul sito dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, accessibile tramite SPID, CIE o CNS.
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