Davvero il costo della moneta digitale incide di più di quello del contante? Ecco il reale peso delle commissioni secondo gli analisti.
Dalla marcia a tappe forzate per perseguire l’obiettivo della tracciabilità a livelli accettabili, al ridimensionamento dell’apporto del POS in fatto di verifica dei pagamenti.
Il passo è stato decisamente breve. Tanto da far sorgere più di qualche domanda sul reale impatto del POS sui bilanci finali delle attività commerciali. Giusto per capire quanto, effettivamente, l’accettazione di un pagamento con carte di credito, bancomat e quant’altro possa realmente incidere sul guadagno finale. Il Governo Meloni ha deciso di alzare l’asticella del rifiuto per una transazione con mezzi tracciabili, portando la cifra minima a 60 euro. Partendo dal presupposto che tale sistema andrebbe a penalizzare, in qualche misura (da capire quanto), il commerciante che lo andrebbe a utilizzare. Il punto sta nel capire esattamente quale sarebbe la percentuale di remissione. Perché non a tutti gli analisti tornerebbero gli stessi conti effettuati dall’esecutivo.
Secondo un report dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, realizzato in collaborazione con Il Fatto Quotidiano, ad esempio, il quadro sarebbe differente. Non tanto nella forma, quanto nella sostanza. La stessa Banca d’Italia avrebbe indicato la convenienza della moneta elettronica, rispetto al contante, per effettuare delle microtransazioni. Questo perché il denaro “fisico” nasconde dei costi silenti, riguardanti in primis i costi di trasporto, oltre che dei fattori di rischio come furti, sbaglio sui resti e cose simili. Cosa che, naturalmente, non avverrebbe per una transazione con strumenti digitali. Non solo: trattandosi di spese più contenute, speso con centesimi di accompagnamento, il margine di errore sarebbe decisamente più ampio per importi al di sotto di una certa somma (15 o 20 euro).
Un altro dato interessante, riguarda le commissioni richieste dalle banche: per importi superiori ai 15 euro, le migliori condizioni offerte vanno su cifre poco superiori rispetto al costo del contante. Il che, di fatto, rende relativo il vantaggio ma che avrebbe potuto ricevere una risoluzione migliore in misure quali il rifinanziamento dei crediti d’imposta al 100% per le commissioni, cessati nel luglio 2022. Sono state comunque numerose le banche che hanno deciso di ridurre le commissioni sulle piccole transazioni. Intesa Sanpaolo, addirittura, ha azzerato il canone mensile fino a fine 2022, rimuovendo le commissioni su tutte le transazioni al di sotto dei 15 euro per le piccole e medie imprese. Provvedimento esteso fino alla fine del 2023. E le offerte non mancano, anche nei circuiti di pagamento esterni a quelli tradizionali.
Per quanto riguarda gli acquisti al di sopra dei 15 euro, una commissione di servizio viene trattenuta praticamente da ogni banca. Tuttavia, non è sempre chiara la percentuale e, per questo, il costo della moneta elettronica. Se non altro perché le commissioni restano variabili in base a fattori quali le transazioni annue degli esercizi, le offerte alle quali si è aderito e i circuiti di pagamento utilizzati. Normalmente, non si esce al di fuori dei ranghi compresi fra lo 0,9% e l’1,8%. Su una commissione media dell’1,5%, secondo gli analisti, la stima oscilla sui 45 centesimi qualora un acquisto fosse di 30 euro.
Al contante, però, non andrebbe meglio. Il costo del denaro, su una transazione ordinaria, incide per l’1,1%, ossia circa 19 centesimi di euro su uno scontrino medio. L’incentivazione del piano cashless aveva portato all’introduzione di un credito di imposta al 30% su tutte le transazioni (all’epoca del Governo Conte), portate poi al 100% da Mario Draghi. Misura per la quale la Legge di Bilancio non ha evidenziato nuovi finanziamenti.
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