L’INPS ha comunicato che non ci sarà l’aumento nemmeno a febbraio l’aumento delle pensioni previsto.
La colpa è nella lentezza dell’Istituto ad adeguarsi alle modifiche attuate alla rivalutazione nella Legge di Bilancio per il 2023 approvata dalla maggioranza di centrodestra che sostiene il governo Meloni.
I ritardi anche piuttosto accentuati che la manovra finanziaria ha accumulato nelle settimane di discussione, dovuti anche all’insediamento tardivo del governo, nominato durante le consultazioni di settembre, stanno quindi avendo le prime conseguenze. Gli adeguamenti previsti sono stati attuati per contrastare l’inflazione, e fanno parte di un meccanismo automatico che aumenta le pensioni in caso i prezzi al consumo si rivelino più alti del previsto, esattamente come accaduto lo scorso anno.
La rivalutazione delle pensioni è un meccanismo automatico che esiste per proteggere gli assegni pensionistici dall’aumento dei prezzi. Scatta ogni anno, a gennaio, e si basa sul calcolo dell’inflazione dell’anno precedente. Durante il 2022 questo aumento era stato minimo, perché si basava sui dati dell’anno precedente. Nel frattempo però l’inflazione galoppava e le pensioni perdevano potere d’acquisto.
Così in estate il governo Draghi decise di anticipare una parte dell’adeguamento, aumentando gli assegni del 2%. L’esecutivo tecnico è però caduto prima di poter elaborare la Legge di Bilancio del 2023, compito che è toccato al nuovo governo guidato da Giorgia Meloni. Durante la discussione della manovra, la maggioranza ha introdotto alcune modifiche alla rivalutazione, legandola all’importo della pensione.
Il totale della rivalutazione delle pensioni per il 2023 è stato calcolato del 7,3% rispetto al 2021, ma non per tutti. Soltanto chi ha una pensione di massimo quattro volte la minima, quindi inferiore a 2100 euro lordi al mese, avrà accesso alla totalità del bonus. Chi percepisce un assegno tra le 4 e le 5 volte la minima avrà diritto all’85% del 7,3% di aumento, percentuale che cala al 53% se si arriva a 6 volte la minima, al 47% se l’assegno è 7 volte la minima e così via fino ad arrivare al 32% se si supera una pensione di 10 volte la minima.
La legge finanziaria è stata approvata dopo Natale. L’INPS ha così avuto pochissimo tempo per ricalcolare tutti gli adeguamenti che la legge aveva modificato. Ecco spiegato perché, fin da subito, Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha spiegato che non sarebbe riuscito ad adeguare gli assegni fin da gennaio. Questi ritardi riguardano però soltanto le pensioni che sono state coinvolte nei cambiamenti voluti dal governo Meloni.
Sono stati salvati solo gli assegni che prendono la totalità della rivalutazione, quelli inferiori a quattro volte la minima. Per gli altri bisognerà aspettare addirittura il mese di marzo. C’è però una buona notizia che riguarda tutti i pensionati. La percentuale dell’adeguamento è stata calcolata in maniera provvisoria alla fine dell’anno scorso, ma i dati ufficiali sono arrivati soltanto durante le prime settimane del 2023.
Secondo le nuove rilevazioni, l’inflazione è stata peggiore di quanto previsto, e quindi i pensionati avranno diritto ad un adeguamento maggiore. Lo scarto è stato calcolato allo 0,8% rispetto a quanto previsto precedentemente. Questa percentuale andrà ad aggiungersi al 7,3%, cifra indicativa che era stata inserita nella legge di bilancio. Per questa ragione l’adeguamento effettivo degli assegni pensionistici rispetto al 2021 sarà dell’8,1% per coloro che prendono la totalità del bonus.
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