Ecco come fa Spotify a capire quali sono le canzoni che ci piacciono anche se di fatto noi non le abbiamo mai ascoltate? Il vero segreto.
Vi è mai capitato che, dopo aver finito di ascoltare un album su Spotify partisse una canzone che, anche se non l’avete mai ascoltata, incredibilmente vi piace tantissimo? Può sembrare tutto frutto del caso o soltanto un colpo di fortuna, ma nella realtà dei fatti non è proprio così.
Il famoso algoritmo, tanto temuto quanto amato, ossia quello che permette alle canzoni di finire nelle tanto famigerate playlist editoriali, in cui si possono fare milioni e milioni di stream, funziona esattamente per questo: per fare in modo che le singole persone, micro segmentate, ascoltino sempre di più la musica che gli piace.
Come funziona l’algoritmo di Spotify?
Ovviamente non sempre la stessa, dal momento che ci si potrebbe stufare, ma il giusto mix tra nuovo, vecchio, già sentito e voglia di cambiare genere musicale. Un orticello, per così dire, nel quale oggi seminare una cosa, domani un’altra molto simile a quella precedente e che, probabilmente, potrebbe piacerci.
Ovviamente non mancano i test, andati bene o male, per sottoporci brani che possa andare fuori dal nostro seminato, ci possono stare, ma tanto la casa produttrice di quest’app che ha rivoluzionato la musica ha il dato fondante per capire se ciò che ci ha sottoposto ci piace: il tempo medio di ascolto di un brano ed il famoso “skip”, oltre ovviamente alla capacità di capire, dalle ricerche interne che si fanno, se abbiamo mai cercato un singolo artista, se abbiamo aperto la sua pagina, se abbiamo letto i suoi credits, se abbiamo cercato altri brani e quant’altro.
Insomma, così funziona l’algoritmo “infernale” di Spotify che indovina -quasi- sempre ciò che ci piace e ci manda in pasto più o meno sempre gli stessi artisti appartenenti a quella nicchia. Insomma, un sistema a 360 gradi che, se da una parte è la fortuna per gli utenti, che possono passare, teoricamente, da Bello Figo a Vinicio Capossela, da Avincola a i Beatles, da De André a Rosa Chemical, dall’altra parte corre il rischio di non farci mai scoprire nulla di veramente nuovo se non siamo noi, attivamente, a cercarlo. E questo è un bel problema.